Che cosa ne sarà del porto di Imperia e dove sono finiti i soldi per la costruzione foto
Far ripartire le opere per chiudere la partita del porto con un’intesa allargata tra enti, banche e privati
di G. Bar. – 14 marzo 2017 – 11:11 Commenta Stampa Invia notizia
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Imperia. A 24 ore dalla sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste al processo d’appello di Torino, in città ci si pongono due domande: che fine hanno fatto i soldi “lievitati” per la costruzione del porto e se lo scalo sarà mai ultimato perché incompleto.
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Riavvolgendo il nastro va chiarito che il costruttore Francesco Bellavista Caltagirone era entrato nell’affare nel 2005, rilevando il 33,3% della società Porto di Imperia Spa, partecipata pariteticamente dal Comune e da un pool di imprenditori locali. Non vi fu gara d’appalto e i lavori erano partiti nel 2007 con costi che erano lievitati da 30 milioni iniziali a 140 milioni di euro. Ecco allora entrare in gioco il Pd cittadino che aveva presentato un esposto in Procura e alla Corte dei Conti. Erano scattate le verifiche a fine 2010, quando la Guardia di Finanza perquisisce la sede romana dell’Acquamare e della Porto Imperia. Ma nel frattempo Acquamare aveva già venduto i posti barca e secondo una stima approssimativa i soldi incassati ammonterebbero a circa 400 milioni di euro. Soldi che sono stati versati dai proprietari dei posti barca e dalle banche.
Ed è qui il capitolo più interessante. Tra gli istituti figurano la Banca Etruria che aveva messo sulla graticola il ministro Maria Elena Boschi. Istituto che faceva parte della cordata di 6 banche Bnl, Unicredit, Carige, Monte dei Paschi, Efibanca, Banca Popolare dell’Etruria che il 19 febbraio del 2007 sottoscrissero un finanziamento da 140 milioni ad Acquamare per una conseguente ipoteca da 280 milioni di euro. Un fiume di soldi che dovevano servire alla realizzazione del porto imperiese. Di fatto, quei quattrini sono stati risucchiati nel fallimento della società, deciso il 20 maggio del 2014 con la sentenza del presidente del tribunale di Imperia, Francesco Pinto, e dal giudice estensore Ottavio Colamartino. Poi, però, sentenza ribaltata dalla Corte di Appello di Genova, che l’ha dichiarata nulla. Soldi che gli istituti di credito hanno chiesto la restituzione.
Con la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Torino ovviamente si aprono più scenari. Come noto i legali di Caltagirone hanno evidenziato di ritenere l’inchiesta la causa principale del mancato completamento del porto e dei guai delle società all’epoca guidate dall’imprenditore romano giunte al concordato preventivo per evitare il fallimento. Ci sono poi altre situazioni rimaste in sospeso: la decadenza della concessione demaniale alla Porto Spa, decretata dal Comune e impugnata dalla società prima al Tar e ora al Consiglio di Stato e quindi che le banche si sono insinuate sostenendo di vantare diritti nell’affaire del porto. Decadenza della concessione che insieme a un’istanza dell’Agenzia delle entrate è pendente davanti alla Commissione tributaria provinciale che probabilmente è destinata ad essere archiviata ora che l’appello per la presunta truffa è finito in una bolla di sapone. Il Fisco, basandosi sull’ipotesi della truffa, aveva contestato 140 milioni di euro di mancati versamenti Iva alla Spa. Ci sono come detto le questioni legate al fallimento della Porto Spa con la pronuncia del Tribunale di Imperia, annullato in Appello a Genova e ora pendente in Cassazione. Come se non bastasse, a sostegno dell’annullamento della decadenza della concessione, emessa dal Comune per il mancato pagamento dei canoni da parte di Porto Spa, c’è ora anche una sentenza della Corte costituzionale emessa lo scorso 29 gennaio che evidenzia come i canoni delle concessioni demaniali debbano essere rivisti al ribasso.
E del porto che cosa ne sarà? Una soluzione ci sarebbe. Ora è gestito dalla Go Imperia che nel forziere ha appena infilato 2 milioni di euro. Insieme a enti pubblici come Regione e Ministero, ad una cordata di imprenditori seri e magari a banche che hanno voglia di credere ancora sotto una più oculata supervisione nello scalo imperiese potrebbero ripartire gli interventi per far funzionare i servizi annessi e connessi. Basta sedersi intorno a un tavolo e lasciare da parte la politica e cominciare a ragione se lasciare un’infrastruttura incompleta o chiudere la partita e dare quella boccata d’ossigeno completando le opere e aiutare una città che da anni vorrebbe riprendere fiato. Non ultimo è appena decollata l’inchiesta con una raffica di avvisi di garanzia arrivati ai proprietari dei posti barca morosi che occupano gli ormeggi senza un regolare contratto. Altro filone da tenere sotto osservazione.